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Non serve più proteggere il lupo?
Tema di attualità
Nell’ultimo mese e mezzo, da quando è uscita la notizia, l’argomento “lupo” è salito alla ribalta su media e canali di informazione. Giovedì 8 maggio il Parlamento Europeo ha approvato la modifica, nella direttiva Habitat, dello status di protezione del lupo, che passa ufficialmente da “strettamente protetto” a “protetto”. La proposta della commissione, datata al 7 marzo, è stata approvata con 371 voti a favore, 162 contrari e 37 astensioni. La modifica va ad allineare il lupo (Canis lupus) alla Convenzione di Berna del 1979 (ma entrata in vigore 3 anni dopo) firmata da 49 Paesi sulla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa.
Potremmo riassumere questa modifica come “un piccolo cambiamento per l’uomo, ma un grande cambiamento per la comunità dei lupi”. Vediamo in cosa consiste la modifica.
In seguito alla nuova norma, gli Stati membri dell’Unione hanno una maggiore libertà nella gestione delle popolazioni di lupi, al fine fondamentalmente di limitare l’incontro uomo-lupo, migliorare la coesistenza tra i due e preservare al meglio le attività umane sul territorio (in questo caso pastorizia e allevamento in primis). La modifica non impedisce comunque ai singoli stati di legiferare per mantenere il lupo come specie “strettamente protetta”, o di non attuare affatto la diminuzione di protezione europea.
Viene motivata la direttiva modificativa con la principale conclusione che, seppur a livello unionale i danni del lupo sull’allevamento sono minimi (in molte aree non è proprio presente), a livello locale crea problemi di maggiore entità e in grado di generare significative pressioni.
Il lupo era compreso prevalentemente nell’Allegato II (tra le specie prioritarie di interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione) e nell’Allegato IV (tra le specie di interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa) della Direttiva Habitat. In conseguenza di ciò gli Stati membri erano obbligati ad “adottare i provvedimenti necessari ad istituire un regime di “rigorosa tutela” nella propria area di ripartizione naturale che comprende, tra l’altro, anche il divieto di qualsiasi forma di cattura o uccisione”, con le deroghe previste dall’Art. 16 della stessa Direttiva.
Il lupo passa ora all’Allegato V che “impone agli Stati membri di adottare misure affinché il prelievo nell’ambiente naturale degli esemplari indicati, nonché il loro sfruttamento, siano compatibili con il loro mantenimento in uno stato di conservazione soddisfacente”. Il lupo potrà quindi essere cacciato in alcune aree, con lo scopo di evitare significativi incrementi nelle popolazioni.
Secondo la Commissione Europea, il numero di circa 20.000 lupi attuali in Europa è un massimale che non deve essere di molto superato per mantenere un equilibrio soddisfacente; il trend all’aumento di questa specie invita inoltre alla necessità di una gestione più mirata. Gli Stati hanno 18 mesi per conformarsi alla nuova norma, entrata ufficialmente in vigore un mese fa esatto.
Senza addentrarci nei dettagli burocratici della politica internazionale, ci basti sapere che è dal dicembre del 2022 che si dibatte sulla necessità o meno di questo cambiamento. Il 6 dicembre 2024 era stato mosso un ricorso contro la decisione del declassamento, motivata dal suo basarsi su una mole di dati incompleta ed inesatta sullo stato di salute del lupo in Europa.
Nel dossier 94 del 22 aprile del 2025 il Governo italiano dà una valutazione complessivamente positiva della proposta, definita “conforme all’interesse nazionale”, con le stesse motivazioni dell’UE, senza comprometterne quindi la conservazione. Precedentemente tale modifica era stata fatta avere ai principali enti regionali e nazionali interessati all’argomento (WWF, Confagricoltura, parchi nazionali, ecc….). Da tali enti sono emersi punti di forza e punti di debolezza della norma UE. Vediamo quali:
Un documento finale è stato quindi approvato dalla commissione istituita a tale scopo, e inviato in seguito al Parlamento Europeo, al Consiglio e alla Commissione europea.
La scelta di abbattere o meno dipenderà dalla regione, che non potrà comunque agire senza un piano di abbattimento che parte dal ministero. Luigi Boitani, professore di zoologia dell’Università “La Sapienza” di Roma, sostiene che la norma ha implicazioni positive nel porre il lupo allo stesso livello di altre specie importanti dei nostri ecosistemi e di integrarlo nei piani di gestione.
Fonti: “Proposta di direttiva che modifica lo status di protezione del lupo” Dossier n° 94 - 22 aprile 2025; Camera dei deputati; Ufficio Rapporti con l’Unione Europea; www.europarl.europa.eu
Perché il lupo ci fa paura?
Tema di approfondimento
Il lupo rappresenta un animale da temere fin dai tempi più antichi; lo ritroviamo infatti nelle storie e nelle leggende di migliaia di anni fa. Per le popolazioni di cacciatori, rappresenta un competitore nella caccia ma anche un animale da emulare, totemico e da venerare (le pelli del lupo venivano indossate per prenderne i poteri).
Quando siamo diventati agricoltori, e soprattutto allevatori, il lupo diventa un problema, un nemico, un competitore, al punto che nelle tradizioni religiose comincia ad essere associato al diavolo (diavolo = lupo, Gesù = agnello). Anche Dracula si trasformava in lupo, e poi c’erano i lupi mannari e chissà quanti esempi…
Gli indiani precolombiani ancora oggi hanno un rispetto incredibile per il lupo da cui ne prendono addirittura i nomi; questo si contrappone al medioevo europeo, in cui al lupo sono attribuiti tanti caratteri negativi: infingardo, bugiardo, infedele (quando il realtà è forse il maggiore simbolo di fedeltà). Sono state messe in piedi anche truppe militari regolari per uccidere i lupi.
Perché oggi resiste questo odio? Il lupo è il classico predatore di animali da allevamento e spesso gli si attribuisce la crudele abitudine di uccidere inutilmente tutti gli animali per poi cibarsene di uno solo. In realtà questo comportamento oggi si sa che ha una spiegazione. La concentrazione di molte prede in un unico luogo (un pollaio o pecore in un recipento) disorienta il lupo. Abituato a instaurare una “conversazione di morte” con le prede per individuare gli individui più deboli, il lupo non riesce ad individuare individui deboli in una situazione al di fuori delle regole naturali a cui è abituato, ed è così che, confuso, le uccide tutte, nonostante sia sufficiente una sola di esse.
Se è vero, come gli studiosi sostengono, che “temiamo ciò che non conosciamo”, allora oggi meno che mai potremmo temere il lupo, data la mole di dati e ricerche che negli ultimi decenni, in Italia in particolare, si sono accumulate a riguardo. Vediamo quindi in breve innanzitutto di che animale stiamo parlando.
Il lupo è una specie multiforme, varia e piuttosto complessa. Si tratta di un carnivooro di grande successo se guardiamo la sua diffusione e la sua storia evolutiva, ma di scarso successo se lo valutiamo dalle probabilità di successo di ogni sua battuta di caccia (1-2 prede catturate ogni 10 tentativi in media).
I lupi attuali sono la stessa specie del cane domestico. Globalmente è una specie che sta molto bene, ma ciò non toglie che ci sono aree in cui si è estinto (Giappone, Regno Unito, Sicilia) o è oggi in pericolo (Messico). Vive in ambienti molto diversi, dalle steppe artiche ad aree semidesertiche, grazie alla sua qualità di essere un opportunista e molto adattabile. Proprio questa sua adattabilità ne ha permesso la diversificazione in sottospecie anche poco simili, che hanno a loro volta diversi stati di conservazione. Sul territorio italiano, ma da qualche anno diffuso naturalmente anche in Francia e in Svizzera, è presente la sottospecie Canis lupus italicus, o Lupo appenninico, che possiede dunque suoi peculiari tratti caratteristici, tra cui dimensioni mediamente ridotte.
Il lupo è un animale territoriale e sociale. L’unità fondamentale è rappresentata dalla coppia riproduttiva, che possiede l’esclusività nel riprodursi, una volta l’anno, e che quindi di fatto fonda il branco. Il branco si sostiene a vicenda e si aiuta in ogni fase della vita. I cuccioli più grandi, soprattutto maschi, a un certo punto vengono isolati e poi cacciati dal branco andando in dispersione. Alla ricerca di trova un proprio territorio idoneo e di un partner con cui fondare una nuova famiglia. In questa fase i lupi sono più vulnerabili e incorrono in maggiori pericoli, tra cui proprio il contatto con l’uomo.
Trovata una compagna, dopo circa due mesi nascono 3-4 cuccioli in una delle tane precedentemente scavate, tenuti poi al sicuro in precise aree di rendez-vous durante la caccia. I cuccioli presto iniziano a seguire gli adulti e a imparare molto velocemente le tecniche di caccia grazie alle quali cacciano cervi, caprioli, camosci e cinghiali ecc… Restano animali opportunisti con dieta molto varia a seconda delle aree (castori, pesci, marmotte, nutrie, a volte frutta o scarti alimentari).
I branchi possono essere grandi o piccoli, fino a 30 ad alte latitudini, 6-8 al massimo da noi. Difendono un territorio grande quanto la densità di prede, mediamente dai dai 30 a oltre 1000 km quadrati, e lo fanno in tre modi: tramite marcamento del territorio, ululato o scontro diretto (più raramente, in quanto alcuni individui possono essere feriti o uccisi).
Nella camminata si distinguono dai cani perché gli individui del branco poggiano le zampe esattamente dove le mettono gli adulti che lo guidano. Proseguono poi in linea retta, non a zig zag come i cani domestici. Trovarsi nel territorio di caccia di un lupo è normale per qualsiasi escursionista in qualunque momento della giornata. Quali sono le probabilità reali di essere predati da un lupo?
Una recente analisi di raccolta dati fatta dal 2002 al 2020 definita “Wolf attacks on humans” ha registrato che ci sono stati in questo periodo 489 attacchi accertati di lupi su esseri umani, di cui:
380 di lupi affetti da rabbia (14 fatali);
42 di lupi che si sono difesi da una qualche provocazione da parte dell’uomo (3 fatali);
67 sono attacchi senza motivo: (9 fatali).
Il totale parla chiaro: 26 morti in 18 anni (di cui la maggior parte in Asia). Per paragone ricordiamo che gli elefanti in India fanno in media 100 morti all’anno, le tigri 60. Le probabilità di essere uccisi da un lupo sono meno di 1/1.000.000.000.
Tuttavia più un animale ha una storia di persecuzione da parte dell’uomo e più è probabile che l’animale ci schivi appositamente e rimanga a grandi distanze. I lupi più pericolosi per l’uomo sono sempre quelli confidenti, e vi diventano quando vengono nutriti o avvicinati. Se lo si incontra in ambiente naturale non esistono neppure grandi precauzioni, a meno che non abbiamo un cane al seguito.
Risultati di questo odio sono una lunga serie di macabre uccisioni, anche in tempi recenti e soprattutto nell’Italia centrale, con lupi che sono stati addirittura esposti e appesi come moniti per le autorità nell’intraprendere azioni di contenimento.
Fonti: “Attacchi di Lupo in Italia. Quanto è probabile?”; Video di “Entropy for life” del 10/06/2025; “Fratello lupo, sorella orsa” Sapiens, un solo pianeta, puntata del 24/05/2025
Le conseguenze del ritorno. Storie, ricerche, pericoli e immaginario del lupo in Italia - Luca Giunti (2021)
Lettura consigliata
I lupi si erano quasi estinti in Italia, ma mai sono stati completamente “domati” dall’uomo. Sono stati presi a fucilate, avvicinati e uccisi con bocconi avvelenati o feriti con le tagliole fino a cent’anni fa. Sono sempre stati nascosti sui monti, pronti a spostarsi col buio per non essere visti, in un mondo contadino che fino a pochi decenni fa arrivava ancora alle medie e alte quote montane prima di uno spopolamento alla ricerca di lavoro nelle città che crescevano, e i lupi ne hanno approfittato.
Hanno ripreso a muoversi, a camminare, a espandersi, ripopolando montagne e pianure, talora riavvicinando quell’uomo che li aveva così brutalmente allontanati. Il lupo è tornato quindi ad affascinare, a meravigliare e stupire, ma anche, d’altro lato, a incutere timore e a competere con le risorse che pensavamo solo nostre.
Questi sono i lupi di Luca Giunti, esperto naturalista piemontese che danni li studia e ne monitora spostamenti e vicende di vita, anche mettendo insieme storie, racconti, dicerie e testimonianze come un antropologo farebbe per l’uomo. Non una tesi scientifica, non una mole enorme di dati in cui perdersi, ma neanche un romanzo o una storia da leggere per sognare: una realtà fatta di concretezza di un animale il cui eco si perde nella notte dei tempi.